Abbiamo 56 giorni davanti. Procediamo con tutta calma, ma è il caso di iniziare a fare due calcoli. Le tappe sono molte e non vogliamo rinunciare a niente. La selva equadoriana era in forse, ci siamo fatti tentare ed ora eccoci.
Avanti tutta
L’appuntamento è all’alba con Luis e Nantu che hanno preparato tutto il necessario, sacchi a pelo, zanzariera, stivali e poco materiale di prima necessità. Luis rimarrà a Puyo, Nantu invece, un indigeno cresciuto nella selva, sarà la nostra guida nella foresta primaria della zona che lui chiama Mushuc Kausaie (su internet non l’ho trovata, ma forse non si scrive così). Il ragazzo ha 29 anni ed è uno di poche parole. Meglio.
Abbiamo davanti tre ore di bus, la metà delle quali su una strada sterrata che attraversa la selva per chilometri. Siamo destinati in un accampamento della zona, in una comunità indigena che di tanto in tanto accoglie i visitatori più temerari. Tuttavia si rimarrà delusi: l’intera famiglia si trova a 5 giorni di cammino dall’accampamento, assente ormai da un mese ed impegnata nella costruzione di una canoa. Stando infatti a ciò che dice Nantu, per tale ragione normalmente si mobilitano tutti o quasi. Ad avvisarci è uno dei figli maggiori, un indio incontrato coi piedi nel fango e alle prese con del lavoro di routine. Con un ammennicolo simile a quei pentolini che i preti fanno oscillare in chiesa per diffondere incenso, brucia qualcosa e lo diffonde intorno a sè. Credo che sia per allontanare gli insetti, e intanto penso al mio repellente comprato in farmacia. Mah. Non mi sento più intelligente, comunque mi domando se funzionerà. A parte lui è rimasta una giovane mamma con due bambini e probabilmente pochi altri. L’interscambio con la comunità è da rimandare. Ci siamo rimasti male, questa è la verità. Ci rimane la selva però, e davanti quattro ore di cammino.
La foresta di Mushuc Kausaie
Se solo avessimo immaginato la difficoltà di tale percorso non ci saremmo spinti tanto dentro. Muniti di stivali cominciamo il cammino attraversando una zona fangosa tutt’altro che divertente. Mettere i piedi nel punto sbagliato e non ritrarli con prontezza vuol dire sprofondare nel fango. Ritraendo il piede, la sensazione è quella di perdere lo stivale perchè il fango tira incredibilmente. Questa prima difficoltà tuttavia si riscontrerà solo i primi venti minuti di percorso, e senza abbandonarci del tutto, il fango, andrà diminuendo man mano.