Gli ultimi due giorni abbiamo decisamente sgambettato, 8 ore per arrivare nel deserto, viaggio verso San Augustin (7 ore), arrivo di notte con la pioggia, e solita ricerca di un hotel. L’indomani visita di un sito archeologico e immediata partenza per Popayan (6 ore). Tutto ovviamente colorato dai casini che combinano i colombiani coi mezzi di trasporto e dalle folkloristiche prese per il culo tipiche latine, che ovviamente bisogna prendere con filosofia. Da quindici anni a questa parte, posto dopo posto non è cambiato nulla, i sudamericani o li ami o ti incazzi. Oppure, come nel mio caso, li ami e ti incazzi. La verità è che se ti arrabbi non capiscono, infatti io mi incazzo dentro, e dentro tiro porconi liberatori.
Scherzi a parte i ritardi di 2 o 3 ore, ad esempio, sono più che normali. Cominciano ad essere contemplati se i tempi sforano di un giorno o due. Stupido io infatti se mi domando dove cazzo siamo alle 21 quando alle 17 dovevamo già essere arrivati. “Tranquilo papi, ya llegamos, tranquilo”.
Si.Tranquilo.
Ma torniamo a noi. Viaggiare per me è disegnare un percorso di massima e poi godersi il contenuto, accogliere tutto ciò che matura e si incontra nel mezzo. Può essere un incontro, un compañeros de viaje o un luogo inaspettato tra una tappa e un’altra.
I prossimi due mesi sulla via delle Ande sono pieni di aspettative. In Sud America vi è ben più di una mecca, e se vi sono luoghi che almeno una volta nella vita andrebbero visti, alcuni di questi sono concentrati in uno spicchio d’america proprio su questa rotta. La vera sorpresa è che tra luoghi come il Machu Pichu, la Foresta Amazzonica, o El Salar Uyuni, vi è molto di più che una carretera e un percorso obbligato per arrivarvi.
Durante questi giorni infatti il viaggio ci ha riservato diverse sorprese, soprattutto tra Popayan e Ipiales, proseguendo verso Quito. Sul ciglio dei lunghissimi percorsi montuosi che portano a sud, si aprono alla vista centinaia di chilometri di paesaggio andino e altipiani mastodontici che spariscono sull’orizzonte, un viaggio a migliaia di metri sul livello del mare che lascia senza fiato.
Quito, una valle tra i vulcani
Proprio così, Quito, la capitale, sorge su una valle a quasi 3000 metri sul livello del mare, tra monti a vulcani che arrivano a superare i 6000. Quito è sopra ogni aspettativa, per tanto decidiamo di trattenerci quattro notti, il doppio rispetto a quanto previsto inizialmente. Ciò che lascia immediatamente con la bocca aperta è quanto si scorge percorrendo l’arteria principale che collega le due Quito, la città moderna e il centro storico coloniale. Attraversando questa sorta di tangenziale, si apre infatti un imponente agglomerato urbano, che sotto un cielo azzurro pennarello e nuvole densissime, alla vista appare bianco. La città, fittissima e abbracciata dalle Ande, è confinata da una valle che sembra contenerla allo stato liquido.
Quito dà l’impressione di essere un enorme libirinto, una città impenetrabile che cambia aspetto da ovunque la si guardi. Si perchè la città è un saliscendi continuo, e i luoghi dove scorgere panorami, i cosidetti “mirador” sono molteplici.
Non leggerete di bagordi perchè fin’ora non si è fatto più tardi delle 22. Il più delle volte si termina di cenare, ci si prepara un cafesito e alle 21,30 si va a letto.
Dopo una settimana di riso e fagioli, il passaggio tra Colombia ed Ecuador si è fatto sentire, e già a Tulcan siamo riusciti a mangiare una zuppa e un piatto di riso saltato in padella. Ma stranamente riso e fagioli sembra mancare, e spesso lo andiamo a cercare di proposito.
A Quito non si mangia male, ma non mangiando carne la scelta si limita a poche cose. Io mi sto sfondando di empanadas de queso, uova, fritti raccattati dagli ambulanti e i dolci che le mami vendono sui bus. Magali continua a dirmi di smetterla di comprare porcherie por la calle, ma poi se le magna anche lei (come la torta di banane che non le piaceva: gliel’ho lasciata in mano tre minuti e non è rimasto neanche il sacchetto).
Cosa vedere a Quito? Camminate per le strade del centro coloniale e mangiate per strada, prendete un taxi e fatevi portare al Panesillo, l’enorme angelo che veglia sulla città e che domina il mirador sottostante. Fate un giro per el Parque Central, girate le piazze, immortalate all’architettura spagnola (quello che è rimasto), ma soprattutto prendete il teleferico e montate a 4050 metri per vedere la città dall’alto. Da cagarsi sotto per chi come me non ama l’altezza, e in cima fa un freddo becco, ma posso dire con certezza che il paesaggio andino e l’immensa città a valle, è uno dei panorami che mi ha lasciato più senza fiato di sempre (vedi la penultima foto e prova ad ingrandirla per notare la città ai piedi del monte).
Quito è bellissima. Ma proseguire è più importante. Arrivederci.
Baños, la porta d’ingresso per l’Amazzonia
Umida e fredda, Baños è una cittadina proprio sulla linea dell’equatore. Come sia possibile che le temperature siano più vicine a quelle di Milano d’autunno/inverno, non me lo spiego. Siamo a 1800 metri sul livello del mare, ma tutto sommato a Bogotà faceva più caldo ed eravamo sui 3000. Non è questa quindi l’unica variabile, so solo che mi girano le palle.
Tuttavia il paesaggio attorno alla città è incredibile. Fai un passo fuori dal centro abitato e ti rendi conto che non comandi più tu. La natura comincia a far paura, il fiume Pastaza taglia di netto una striscia di cordigliera nera, trascinandosi con forza terra e vegetazione. Il sole non fai mai capolino, almeno non in questa stagione. Il cielo è denso e basso e la condensa viene trattenuta dalla vegetazione fittissima, che si comporta come velcro sulle nuvole. Mai visto inoltre tante cascate una dietro l’altra.
Il meglio di tutto ciò si può ammirare nel tragitto tra Puyo (città noiosa che si può evitare) e Baños, percorso nel quale si trovano sistemazioni nel mezzo della natura, senza dover alloggiare per forza in città.
Poche parole per Baños in sè, cara rispetto alle altre città, e un po’ troppo costruita attorno ai backpackers. Oggi siamo qui, soggiorniamo in un hostal gestito da ebrei. Accoglienza purtroppo scadente, divieti e cartelli per tutta la struttura, vietato questo, vietato quello, non lavatevi roba in camera se no vi metteremo sul conto un extra, non utilizzate sale, olio e spezie in cucina, compratevi il necessario etc.
L’hostal sembra ben frequentato dai giovani israeliani che hanno terminato il servizio militare, e che per tradizione viaggiano per un anno, gente cha sa divertirsi e che ho spesso incontrato girando con lo zaino, ma da qui andremo via senza nostalgia.
Amazzonia: selva primaria e selva secondaria
Oggi stiamo decidendo se affrontare la selva primaria, tre giorni nella giungla con una guida autorizzata.
Abbiamo fin da subito scartato l’idea della selva secondaria, una zona ormai battuta da escursioni commerciali di poche ore e con un pubblico sempre più frequente. La selva primaria, molto più interna, è invece abitata e battuta solo da indigeni e da pochi viaggiatori disposti a viverla per tre o quattro giorni, accampandosi in balia di ogni condizione atmosferica o imprevisto, e ad inoltrarsi in lancia per ore nell’interno profondo dell’amazzonia ecuadoriana.
L’appuntamento è fra un paio d’ore a Puyo con la guida che proverà a convincerci. Non è certo una escursione all’acqua di rose, di quelle che propongono negli hotel, per tanto c’è da organizzarsi bene per viveri e indumenti, ed essere convinti di quanto si è deciso. Per la terza volta in tre giorni ripercorriamo una delle strade più belle del paese, quel tragitto che potendo guardare dal finestrino, ho provato a descrivervi pocanzi.
Che dire, rimanete connessi e avrete aggiornamenti.
Qualche foto
Per chi si fosse perso l’inizio del viaggio:
https://www.magoleo.com/blog/sud-america-magia-e-dintorni-72-giorni-tra-le-ande/
Merci de nous faire participer à votre voyage merci pour les commentaires et pour les photos. Prenez bien soin de vous gros bisous et à bientôt de lire la suite
Merci!