Autore: Leonardo Carrassi* prima pubblicazione 2010. Verba Tayko.
A cena con Liliana
Liliana Pastacaldi è una anziana signora, ben al di sopra degli 80 anni, con qualche malanno tipico dell’età, ma in forma e soprattutto ancora capace di esprimere una autentica, profonda commozione al ricordo del padre, perduto quando ancora era bambina. L’unica figlia di Wetryk, al secolo Antonio Pastacaldi, che da Livorno portò l’arte magica, appresa dal Maestro Cesare Watry, in tre continenti. La memoria di Wertyk ha subito i pesanti attacchi del tempo ed oggi è concreto il rischio che rimanga confinata in poche righe nelle enciclopedie e nei dizionari di “magia”, anche perché i tre figli di Liliana, Gianmaria, Giorgio e Federica, non hanno manifestato alcun talento magico, o non ne hanno avuto mai occasione. Il legame familiare ed il profondo affetto che hanno per la madre, tuttavia, li sta impegnando a cercare, attraverso le sempre più remote vestigia, di ricostruire il cammino artistico del nonno. Per questo ho recentemente incontrato Liliana Pastacaldi e due dei tre figli. Quella che segue è la storia del mago raccontata dalla famiglia durante una serata trascorsa fra magie e ricordi, aneddoti e moti di commozione, nella memoria di Wetryk, Antonio Pastacaldi.
UNA STELLA MAGICA DIMENTICATA
La vita
Talvolta le doti di un artista scrivono a fuoco il suo nome nella memoria storica, spesso la fama dona vita al mito, e a volte l’affetto della gente regala ad un artista l’immortalità. Un aneddoto diventa improvvisamente un fatto leggendario, e un ricordo del tempo che fu, viene raccontato in maniera solenne, prima tra i parenti e gli amici, poi da tutti, per sempre. Un grande artista è eterno. Questo è tutto ciò che rappresenta Wetryk, l’unico vero Wetryk, per la famiglia, per Livorno, e per tutti quei prestigiatori che danno importanza al nostro patrimonio culturale, quello di un’Italia che ha visto nella prima metà del secolo sbocciare artisti tra i migliori al mondo. Probabilmente le cose son cambiate, allora nel mondo magico andava di moda vestire un nome Italiano, oggi sono gli italiani che si cercano nomignoli inglesi per costruirsi un certo status, tuttavia un po’ per patriottismo, un po’ perchè è sacrosanto, certi nomi non si possono dimenticare. Antonio Pastacaldi è certamente uno di questi.
Riporto tutto ciò col trasporto necessario, con estrema naturalezza, con la stessa emozione con cui ho piacevolmente ascoltato le parole di Liliana, la bimba di Wetryk che oggi ha 83 anni e che ricorda il padre come un’uomo di grande determinazione, una persona che s’innamorò della magia giovanissimo e che portò l’arte magica in Europa e nel mondo.
Figlio di un noto impresario teatrale, Ugo Pastacaldi, e di Emma Oneto, pianista, visse fin da piccolo nella sua città natale, Livorno, a contatto col mondo dello spettacolo appassionandosi alla prestigiazione già dalla tenera età. Purtroppo Wetryk non conobbe mai la mamma che morì dandolo alla luce il 30 marzo del 1890, e il piccolo creduto anch’egli morto fu messo nella bara insieme alla madre. La levatrice probabilemente non ebbe dubbi nel constatare il decesso del neonato, tuttavia fu allora che si compì la prima magia del piccolo mago. Davanti agli occhi di Gemma, una delle cugine di Ugo, il piccolo sembrava respirare. Antonio era vivo!
Il piccolo Antonio crebbe con la matrigna Ida Nobili, soprano, la prima Lola della Cavalleria Rusticana di Mascagni. Si può dire quindi che l’infanzia del piccolo Pastacaldi fu sempre illuminata dalle luci della ribalta e l’amore per lo spettacolo lo portò presto al suo esordio nel teatro Adriano di Roma durante uno spettacolo di varietà. Era il 1906, di lì a poco avrebbe cominciato a conoscere il mondo. Antonio rimase sempre affezionato al suo primo vero maestro, un grande attore melodrammatico livornese, Alessandro Parrini, che lo inizia all’arte magica insegnandoli semplici giochi di prestigio. L’incontro col grande Watry convincerà probabilmente del tutto il giovane promettente alla carriera di illusionista che lo porterà al successo.
Antonio aveva 16 anni quando vide Watry, al secolo Giovanni Girardi, esibirsi nel teatro Avvalorati di Livorno. Fu amore a prima vista tanto che abbandò tutto e cominciò a seguirlo in turnée, prima in Italia, poi in Inghilterra e Brasile. Da ciò che racconta la dolcissima figlia Liliana, in contraddizione con quanto si è scritto in libri e articoli di giornale, suo padre non riuscì mai a convincere Watry ad insegnargli l’arte, tuttavia l’audacia di Antonio gli permise di strappare alla compagnia magica un ruolo da assistente, e in breve fece suoi diversi numeri quali la manipolazione delle carte. Dopo qualche tempo si accorse di essere diventato un ottimo manipolatore, probabilmente molto più in gamba del Maestro.
Fu sicuramente durante la turnée brasiliana che Wetryk, nome nato indubbiamente dall’ammirazione di Antonio per il maestro dopo il suo ritiro, divenne maturo artisticamente, e dopo aver fatto tesoro dell’esperienza maturata a fianco di Watry comprò parte del materiale del maestro e tornò in Italia col nome di Zeo, debuttando col suo spettacolo magico. Nel 1914 decise di mettere insieme la sua compagnia che raccolse inizialmente fortuna in sud america e in Spagna. Fu nel 1915 che il giovane mago, dopo uno spettacolo a Madrid, venne invitato a corte dalla regina Maria Cristina per un’esibizione a palazzo. Mai occasione fu tanto proficua, Wetryk fu nominato Artista di Sua Maestà Alfonso XIII Re di Spagna.
Tra il 1916 e il 1918 si esibisce per lo più tra Brasile e Argentina fino a quando nel 1919 parte per il Portogallo e in seguito per la Spagna. All’estero l’artista si faceva chiamare Tony Wetryk. Il 10 gennaio 1920 torna in Italia e nel 1921 sposa Amneris Remaggi, figlia di un importante industriale che non vide di buon occhio il matrimonio. Dopo una piccola tournèe spagnola in compagnia della moglie, ricomincia così una tournèe tutta Italiana, probabilmente per star più vicino possibile al focolare domestico. Tra il 1921 e il 1926 gli spettacoli magici fecero capolino in diverse città tra le quali Milano, Roma, Genova, Firenze, Napoli, Palermo, Bari, Taranto, Catanzaro, e i giornali dell’epoca lo definiscono il più grande illusionista vivente.
Nel 1927 nasce Liliana, e poco tempo dopo l’artista decise abbandonare le scene per rimanere accanto alla piccola. Nel 1935 l’amore per il teatro lo porta a riprendere in mano i vecchi attrezzi e deciso a tornare in scena ricomincia ad allenarsi. Liliana ricorda suo padre passare infinite ore davanti allo specchio con un mazzo di carte in mano, cimentandosi forse in uno dei numeri a cui era più affezionato, la sua grande manipolazione. Purtroppo il destino aveva scritto altro per Wetryk, il grande mago si spense prematuramente nel 1936 per un grave tumore che tentò invano di curare. Amneris lo seguirà soltanto tre mesi dopo, probabilmente ammalatasi per infinità tristezza. Alberto Sitta scrive di lui su un numero Magia Moderna del 1962: Un posto preminente nella storia dell’arte magica è senza dubbio occupato da Wetryk, uno dei più grandi artisti di questo secolo.
Le magie di Wetryk e l’appuntamento impossibile
Chiunque chieda a Liliana qualcosa sul padre sentirà prima o poi questa filastrocca: “mio padre ha sposato la sorella della moglie del fratello della moglie del fratello di mio padre”. Il tutto è vero, si provi con foglio e penna a risolvere questo dilemma. Si capirà presto che solo un mago avrebbe potuto sposare la sorella della moglie del fratello della moglie del fratello di suo padre! Ma questa non fu certo l’unica stranezza che si racconta di Wetryk. Tra i vari aneddoti si parla anche della sua finestra di casa che dominava lo stadio del Livorno. In paese si diceva che se Wetryk si affacciava, il Livorno vinceva. Quando il mago si accorse che la diceria era in realtà davvero profetica non volle più affacciarsi durante le partite, un po’ perchè non trovava giusto l’aiuto che donava al Livorno, un po’ perchè il mago era Juventino!
Liliana dice che suo padre aveva grandi doti magnetiche, e probabilmente grazie alla credibilità acquisita sul palco scenico riusciva a suggestionare le persone tanto da portarle senza molti sforzi in ipnosi. Tuttavia preferì non presentare mai esperimenti di questo genere sul palco, come del resto usava fare Watry, ed in genere non amava questa pratica neanche nelle dimostrazioni di carattere amichevole o familiare.
Per descrivere forse l’aneddoto magico più incredible voglio riportare un’intera intervista sul “Piccolo” del 26 Giugno del 1925, firmata U.M.B. :
“Sono stato varie volte al Nazionale ad assistere agli spettacoli di Wetryk. Sta volta tra il primo e il secondo atto, decido di conoscerlo. Lo chiamo e questi sorridendo: in che posso servirla? Gli domando un breve colloquio ma lui deve entrare in scena, venga domani alle cinque pomeridiane a casa mia dice e con molto piacere le dedicherò un po’ del mio tempo. Soddisfatto torno al mio posto per assistere per la quarta volta al secondo atto del suo programma, mi fa passare una serata indimenticabile. Soltanto più tardi a casa mia mi sovenne che non avevo l’indirizzo. L’indomani, assalito da mille altre mie faccende, passavo per caso per via dell’Umiltà quando mi sento chiamare. Alzo la testa e con grande meraviglia ero capitato proprio sotto la finestra di Wetryk, il quale col solito sorriso m’interloquisce: che ora fa il suo orologio, le cinque non è vero? vede che pur non avendo l’indirizzo lei ha potuto trovarsi da me per l’ora in cui le avevo dato l’appuntamento? […] Miracoloso esclamo io. No vede non c’è niente di miracoloso nei miei esperimenti, ho studiato e studio molto perchè mai sono contento di me stesso; tutto quello che faccio in semplicità e in pochi secondi è frutto di anni di lavoro e niente altro […].
Da questa frase fra l’altro si evince la sua onestà intellettuale nel palesare al pubblico che le sue doti son ben lontane da poteri paranormali, ammissione che all’epoca non era per nulla scontata da parte degli illusionisti che dominavano le scene internazionali.
Gianmaria Odello, figlio di Liliana, nonchè nipote del mago, sottolinea quanto la sua capacità di attenzione fosse lodevole. La dedizione nello studio e l’assoluta concentrazione in tutto ciò che faceva lo si vede anche in uno dei suoi più amati hobbie, gli scacchi. Si racconta che Wetryk amasse a tal punto questo gioco da impegnare in una partita anche giornate intere. Una vicenda rimasta nelle memorie familiari vede il giovane mago sparire per interminabili ore, tanto che la famiglia comincia a preoccuparsi. Lasciato l’uscio di casa alla luce del giorno, nessuno ha più notizie di Antonio che si fa aspettare anche e ben oltre l’orario di cena. Non presentatosi qualcuno comincia seriamente a mobilitarsi nella ricerca del ragazzo, ma senza risultato. Si scoprì a tarda notte che Wetryk stava terminando una partita di scacchi chiuso in compagnia di un cugino in una carrozza fuori casa.
Passando invece ai suoi numeri da scena sembra che la sua specialità fosse la manipolazione di carte, Liliana dice che in questo era imbattibile. Grande ideatore di numeri magici, Wetryk presentava i suoi giochi mettendo in scena rappresentazioni stilistiche di diverse epoche e paesi. Iniziava infatti in stile Luigi XV con tanto di sfarzosi costumi dell’epoca, poi impersonava l’illusionista Turco, giapponese, indiano ed infine l’illusionista vestito col moderno Frak. Manipolava carte, palle da biliardo, fiori e produceva piccioni. Inoltre tra i suoi numeri di manipolazione e magia generale inseriva la sparizione e la riapparizione di una grossa lampada a petrolio accesa, il cappello di uno spettatore tagliato in pezzi che riappariva integro sul soffitto del teatro, la banconota sparita e riapparsa in una noce dentro un uovo all’interno di un limone, la manipolazione di campanelle che terminava col loro lancio in platea su dei nastri grazie ai quali si agganciavano raggiungendo il pubblico suonando. Molte le grandi illusioni quali la donna sparata da un cannone e riapparsa all’interno di un triplo baule sospeso, la levitazione con sparizione finale di una persona, la decapitazione umana, la nascita di un bambino da un mucchio di stelle filanti in una cassettina mostrata vuota, la sparizione di due leoni veri appartenenti allo zoo di Roma e sparizioni di animali vivi senza avvicinarsi a tavoli o sedie truccati. Celebri anche il numero della ragazza chiusa in un sacco contro la quale si scagliavano frecce che trapassavano il sacco da parte a parte, e il barile per la produzione di persone. Liliana dice invece di ricordarsi di una “scatola cinese”, nominata più volte in famiglia e, udite udite, di una donna segata in due! Questa testimonianza risulta davvero molto interessante poichè è legittimo credere che Watry fu uno dei primi, se non il primo italiano a presentare il numero di Selbit-Goldin, messo in scena per la prima volta nel 1921 da Percy Thomas Tibbles (Selbit). La meccanica, rimanendo a quanto ci racconta Liliana, non aveva certo nulla a che fare con l’illusione originale, tanto che l’assistente, Amneris, si trasferiva giu da palco lasciando la cassa vuota.
Una misera parola d’onore
Corre il 1943, bussa a casa Pastacaldi un prestigiatore mediocre, tale Melchiorre Zatelli in arte Armandis, nativo di Alessandria. Per diecimila lire riesce a portar via l’intera attrezzatura di Wetryk, ben dieci mastodontici bauli di giochi e scenografie con la promessa di non usare mai il nome e i manifesti del grande mago deceduto. Probabilmente la tentazione fu troppo forte, e per breve periodo Wetryk tornò alla ribalta. Lontano da Livorno, con uno spettacolo tutt’altro che degno del nome che portava, Armandis cominciò a far spettacolo col nome del mago scomparso. Il ritorno di Wetryk fece scalpore, e mosse le folle tanto che inizialmente riempì i teatri. Ma Wetryk non era più lo stesso, la caduta di stile era evidente. Fu questa la vera ragione a causa della quale il nome di Wetryk ci giunge senza quell’autorevole eco che meriterebbe. Dopo la sua prematura scomparsa, l’utilizzo abusivo della sua fama fece calare sull’artista un triste sipario. Altri grandi maghi avrebbero presto meravigliato l’Italia. Mentre alcuni impostori prendevano il nome di Wetryk (probabilemente Zatelli non fu il solo), gli anni a venire avrebbero visto maghi dello spessore di Bustelli riempire importanti sale e teatri.
Liliana dice che le tournèe di Armandis sotto il nome del padre, s’interruppero nello stesso momento in cui gli zii, presi dalla rabbia più nera, riuscirono a parlare con Armandis, impedendogli una volta per tutte di screditare il nome di wetryk, l’unico vero Wetryk che fece innamorare l’Italia e il mondo.
Bellissima storia,piena di spunti dove qualsiasi prestigiatore dovrebbe prendere spunto, per diventare Mago.
Grazie mille